Il vero significato dell’indice glicemico

Vorrei spiegare all’interno di questo articolo due fattori molto importanti per l’alimentazione di uno sportivo (e non solo), cercherò di farlo con parole molto semplici senza scendere troppo nei dettagli che i più interessati potranno trovare all’interno di alcuni testi di biochimica.
Solitamente nel campo dell’integrazione dei carboidrati sentiamo spesso nominare la seguente sigla “IG” che non è altri che l’acronimo di Indice Glicemico.
Con molta meno frequenza invece sentiamo nominare un’altra sigla “CG”, questa sta ad indicare il Carico Glicemico di un alimento, fattore molto importante al quale viene dato poco spazio, forse per scarsa informazione o forse per il fatto che le strade più semplici da percorrere sono quelle più allettanti.
Cerchiamo ora d’iniziare per gradi, i carboidrati si dividono in tre categorie: monosaccarididisaccaridi che come suggerisce il termine saranno zuccheri semplici, e polisaccaridi che invece
saranno zuccheri complessi.
La loro differenza è data dal gruppo di molecole legate insieme, i monosaccaridi contengono una
molecola di zucchero, i disaccaridi ne contengono due, mentre i polisaccaridi sono formati da più legami di monosaccaridi.
Monosaccaridi: glucosio, fruttosio (semplifichiamo così perché dovremmo entrare in alcuni procedimenti di biochimica per descrivere le unità che formano i monosaccaridi).
Disaccaridi: saccarosiolattosiomaltosio.
I polisaccaridi più importanti sono: cellulosaamilosio, amilopectina, glicogeno.
Una volta ingeriti, i carboidrati subiscono una trasformazione all’interno del nostro intestino, questi vengono scissi tutti in monosaccaridi per dare modo di passare attraverso la parete intestinale ed entrare nel flusso ematico dove raggiungeranno il fegato che provvederà a trasformali in glucosio.
Il glucosio potrà essere immesso nuovamente nell’organismo a scopo energetico oppure trasformato ed immagazzinato sotto forma di glicogeno qualora nell’organismo ce ne sia già a sufficienza; il restante glucosio verrà convertito in grasso.
Il glucosio presente nel flusso ematico verrà regolato dal pancreas il quale secernerà due ormoni, il glucagone e l’insulina; l’aumento della glicemia data dall’assunzione di una dose eccessiva di carboidrati verrà riequilibrata dall’insulina, da qui l’origine del famoso “picco insulinico”, il quale aumenterà proporzionalmente all’indice glicemico dei carboidrati assunti.

Ma che cos’è l’IG (indice glicemico) o meglio ancora, prima di tutto cos’è la glicemia?

La glicemia indica la presenza di glucosio all’interno del flusso ematico, si avrà dunque una risposta glicemica la quale starà ad indicare l’arricchimento di zuccheri nel sangue a seguito dell’assunzione di alcuni tipi di carboidrati.
Per fare questo raffronto si prenderà in considerazione un tipo di carboidrato “prova” che di solito è il glucosio (indice pari a 100), il quale fornirà dei valori che permetteranno di verificare il tipo di impatto che i carboidrati avranno nei confronti della concentrazione di zuccheri nel flusso ematico.
L’indice glicemico sarà dato dunque dalla velocità con cui la glicemia aumenterà in seguito all’assunzione di 50 g del carboidrato oggetto del test.
Tale indice sarà espresso sotto forma di percentuale, mettendolo in rapporto alla velocità d’aumento della glicemia del carboidrato “prova” ed utilizzando gli stessi quantitativi.
Logicamente potremmo capire che un indice glicemico pari a 50 starà ad indicare che l’alimento innalza la glicemia con una velocità che è la metà di quella del glucosio.
Piccola nota: fate attenzione alle tabelle riportanti gli indici glicemici degli alimenti, per prima cosa guardate quale tipo di alimento è stato utilizzate come “prova”, non in tutte è lo stesso.

 

Indice glicemico
Giungiamo ora al CG (carico glicemico), colui che ci ha salvati da alcuni gravi errori che erano stati fatti in merito all’indice glicemico (IG); molti alimenti venivano visti come dannosi per il loro alto IG perché si badava solo alla qualità dell’alimento ma non alla quantità.
Si è visto dunque che le risposte dell’insulina non erano regolate solo dal tipo di alimento assunto ma bensì dalla quantità ingerita; di solito gli atleti vedono nel fruttosio una fonte energetica a lento rilascio che possa coprire protratti sforzi fisici, in questo modo assumono dosi esagerate di bevande pre-workout a base di questo elemento; al contrario il glucosio sarebbe l’elemento da assumere immediatamente dopo il workout perché questo fornirebbe una fonte energetica immediata per ristabilire le riserve energetiche del fisico sottoposto a stress.
L’esempio banale per fare capire l’importanza del carico glicemico è proprio nel suo metodo di calcolo; il carico glicemico (CG) si misura moltiplicando l’IG dell’alimento per la quantità assunta. In poche parole si potrà notare come 50 g di fruttosio (IG=20) avranno un carico glicemico più alto nei confronti di 10 g di saccarosio (IG=66).
Fruttosio: 20×50 = 1000
Saccarosio: 10×66 = 660
Stiamo dunque attenti a dosare i carboidrati e soprattutto a capire che uno dei punti principali risiede proprio nella quantità assunta.
Gran parte degli addetti continuano inoltre a proporre una maldestra classificazione degli zuccheri suddividendoli in due categorie fondamentali, quelli a rapido assorbimento e quelli a lento assorbimento; si ritiene dunque che un indice glicemico basso corrisponderebbe ad un assorbimento da parte dell’organismo più lento, provocando così una glicemia più bassa e di durata superiore nel tempo, ERRATO!
Probabilmente si è fatta confusione in merito alla velocità di svuotamento gastrico, che in effetti varia tra i vari carboidrati, ed il tempo necessario al glucosio per entrare nel flusso ematico.
Molti studi bastati non più su procedimenti puramente teorici ma bensì pratici, hanno dimostrato chiaramente che il picco glicemico appare circa in contemporanea per tutti i carboidrati; il tempo necessario sarà di circa 25-30 minuti in base al tipo di carboidrato assunto a digiuno, che esso sia semplice o complesso.
Come si può notare la variazione sarà di soli 5 minuti, tempo irrisorio se confrontato alle 3 ore circa, necessarie per completare la digestione.
Si è cercato tramite convegni e trattati scientifici di fare cambiare l’errata credenza in merito a queste teorie abbracciate da numerosi nutrizionisti, dall’azienda alimentare, da medici e dietologi; purtroppo non è facile riuscire in quest’impresa, per motivi di marketing e conseguenti rivoluzioni che stravolgerebbero alcuni fondamentali dogma oramai assimilati dalla maggior parte degli individui e degli addetti ai lavori.
Ovviamente tutto questo si riversa anche nell’ambiente sportivo, dove da anni vengono adottati
protocolli del tutto errati ed inefficaci per il solito motivo legato al business ed alla scarsa voglia di compiere attività di ricerca.

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